Le perizie nautiche, oggi parte integrante della compravendita, della manutenzione e della gestione assicurativa delle imbarcazioni, affondano le proprie radici in una lunga tradizione marittima fatta di esperienza, osservazione e professionalità. Sebbene nel passato non esistesse una codifica tecnica come quella attuale, l’esigenza di valutare lo stato delle imbarcazioni e di certificare i danni è sempre stata una necessità fondamentale per chi solcava i mari.
In questo articolo ripercorriamo l’evoluzione delle perizie nautiche, dalla loro nascita fino alle moderne tecnologie di diagnosi utilizzate da professionisti come Massimiliano Panessa, perito nautico specializzato, che unisce il sapere tecnico alla precisione delle prove non distruttive.
Le origini delle perizie nautiche: quando tutto iniziò
Già nel mondo antico, i marinai e i mercanti avevano l’esigenza di valutare l’affidabilità delle navi. Nell’antica Grecia e poi a Roma, erano figure come i navicularii o i procuratores navis a occuparsi della gestione delle imbarcazioni, della loro manutenzione e, indirettamente, della loro valutazione. Le decisioni venivano prese spesso su base empirica, osservando l’usura dello scafo, le condizioni dell’alberatura, delle vele e del carico.
Durante il Medioevo, con l’intensificarsi dei commerci marittimi tra le repubbliche marinare italiane e i grandi porti europei, iniziò a prendere forma una prima forma di perizia: il “giuramento del mastro d’ascia”, figura responsabile della costruzione e della riparazione delle navi, chiamata in causa in caso di contenziosi. Sebbene non esistesse ancora una professione riconosciuta come quella del perito, si iniziava a delineare l’importanza di un parere tecnico super partes, soprattutto quando si trattava di incidenti in mare o controversie commerciali.
L’era moderna: la nascita della perizia tecnica
Con la rivoluzione industriale e l’introduzione della propulsione meccanica, le navi iniziarono a diventare più complesse. Il passaggio dal legno al metallo, l’arrivo delle macchine a vapore e poi dei motori a combustione interna resero indispensabile una valutazione tecnica più approfondita e strutturata.
È in questo contesto che nasce la figura del perito nautico moderno. Le Capitanerie di Porto, le autorità marittime e le compagnie assicurative iniziarono a riconoscere ufficialmente il ruolo di professionisti specializzati nella valutazione tecnica delle imbarcazioni. La perizia non era più solo una pratica occasionale ma un’attività disciplinata da normative e protocolli precisi, richiesta nelle compravendite, nei contenziosi e nelle pratiche di risarcimento assicurativo.
In questa fase storica, l’analisi si basava principalmente sull’ispezione visiva e sull’esperienza del perito. La valutazione della solidità dello scafo, dello stato del motore e della presenza di danni era affidata all’occhio esperto e alla conoscenza pratica accumulata nel tempo.
L’evoluzione contemporanea: l’ingresso delle tecnologie avanzate
Con il passaggio al XXI secolo, la perizia nautica ha vissuto una trasformazione profonda grazie all’introduzione di tecnologie di diagnosi avanzate. Strumenti come la termografia a infrarossi, gli ultrasuoni e i fluidi penetranti hanno rivoluzionato l’approccio alla valutazione delle imbarcazioni, consentendo di rilevare danni invisibili a occhio nudo o difetti nascosti all’interno delle strutture.
Oggi un perito come Massimiliano Panessa non si limita a valutare ciò che è visibile: esegue indagini non distruttive, interpreta dati digitali e fotografa la salute dell’imbarcazione con un’accuratezza che fino a pochi decenni fa era impensabile. Questo consente non solo di identificare danni esistenti, ma anche di prevenire guasti futuri, pianificando interventi di manutenzione in modo tempestivo e mirato.
In parallelo, anche la documentazione delle perizie si è evoluta. I rapporti tecnici sono oggi corredati da fotografie ad alta risoluzione, immagini termografiche, grafici e report digitali dettagliati, facilmente utilizzabili sia in ambito assicurativo che giuridico.